29/01/2012
Paolo Amalfitano
Università di Napoli "L'Orientale"
Stefano Brugnolo
Università di Pisa
Rosanna Camerlingo
Università di Napoli Federico II
Silvia Carandini
Sapienza Università di Roma
Francesco Fiorentino
Università di Bari Aldo Moro
Antonio Gargano
Università di Napoli Federico II
Olimpia Imperio
Università di Bari Aldo Moro
Gianni Iotti
Università di Pisa
Salvatore Luongo
Università di Napoli "L'Orientale"
Claudio Vicentini
Università di Napoli "L'Orientale"
La questione del comico e più in generale del riso da qualche tempo sembra trascurata dalla critica e da quello che resta della Teoria letteraria. Circolano antologie più o meno commentate che si limitano a riportare le storiche formulazioni e definizioni del riso. Queste ultime grosso modo possono essere ricondotte a tre modelli.
1. Quello hobbesiano, baudelairiano del riso come manifestazione di una superiorità di chi ride su colui che è motivo di riso. Come specifica Freud il riso nasce da un confronto : chi ride non spenderebbe così poco intellettualmente o così tanto fisicamente ed emotivamente quanto il “ridicolo”. Anche la teoria di Bergson sembra confermare questa interpretazione e, comunque, andando a ritroso, si può arrivare fino ad Aristotele per il quale il ridicolo consisteva in “un errore o una bruttura che non dà sofferenza, né danno” (Poetica, 1449°, 34-35).
2. Il riso – come lo interpreta Bachtin – nascerebbe dal rovesciamento in uno spazio/tempo ciscoscritto delle regole che reggono la cultura alta. Sarebbe un carnevale che ha il potere di annullare la Repressione sociale, tenendola fuori.
3. Freud distingue in tre domini ciò che costituisce l’intero campo della provocazione del riso: il comico propriamente detto, volontario e involontario, il witz e l’umorismo. Il comico nasce dal confronto e dunque da un sentimento di superiorità, mentre il motto di spirito e l’umorismo consentono una identificazione, sebbene di distinta natura, con chi o con ciò che suscita il riso, ovvero è oggetto di umorismo. Particolare interesse, come sottolinea Orlando, rivestono quei motti di spirito che presentano facciata comica e tendenziosità “spiritosa”. A Francesco Orlando spetta anche il merito di aver esteso quel particolare modello di compromesso che combina la comicità e il witz a un capolavoro indiscusso della letteratura occidentale con la mirabile analisi del Misanthrope e con altre più puntuali analisi (in particolare in una battuta dell’Avare).
Il gruppo si propone di approfondire quest’ultima proposta teorica, sia saggiandola in analisi testuali, sia cercando di declinarla in una prospettiva storico-letteraria, verificandone cioè ambiti e campi d’estensione anche in periodi letterari diversi dall’originaria applicazione alla grande letteratura. In tal senso, il gruppo di ricerca intende costituirsi allo scopo di approfondire e di fare avanzare la proposta freudiana e orlandiana di teoria del comico piuttosto che proporsi l’elaborazione di una rassegna delle teorie esistenti. In particolare, la ricerca si prefigge di affrontare le seguenti questioni:
1. In primo luogo, risulta indispensabile una riflessione che abbia ad oggetto la diversificazione tipologica con cui il modello si realizza, a seconda dei differenti contesti storici e, in ragione di essi, sia della varietà dei codici vigenti nel singolo contesto storico, sia della autorevolezza e della forza di cui i singoli codici godono, di volta in volta. Dalla considerazione di una tale problematica generale, deriva una serie di più puntuali questioni e interrogativi, come, per esempio, quelli che si indicano di seguito.
2. Per quali motivi il modello di comicità aristofanesca, nonostante il prestigio dell’autore, è stato così poco presente per secoli nella cultura europea? Solo per ragioni di censura o di difficile contestualizzazione delle opere di Aristofane o di loro “arcaica” struttura drammaturgica? Oppure intervengono anche ragioni intrinseche al modello di comicità?
3. Nell’ipotesi orlandiana che la formula Comicità /Witz risulti inevitabile in letteratura, andrebbero analizzati quei capolavori comici cinque-seicenteschi nei quali – come per la battuta dell’Avare analizzata da Orlando – l’aspetto “spiritoso” sarebbe inconscio. Si tratta di episodi di comicità in cui sono violati codici indiscussi e prestigiosi, nell’aggressione dei quali è rilevante, peraltro, la distinzione tra comicità verbale e comicità situazionale.
4. E’ possibile un riso in assenza di codici di riferimento morali e sociali , basato solo sulla violazione della congruità razionale? Un riso non tendenzioso o ultra-tendenzioso? E’ questo il caso del cosiddetto teatro dell’assurdo?
5. C’è un rapporto tra il riso e la dottrina degli stili, che è al centro delle pagine che compongono il capolavoro critico di Auerbach? Lo determinano diversamente lo stile comico che consente la rappresentazione del basso dell’esperienza umana in epoca pre-ottocentesca e lo stile serio che dall’Ottocento in poi lo sostituisce? La com-passione che accompagna il riso non è appannaggio prevalentemente di quest’ultimo? E’ possibile che nello stile comico – salvo illustri eccezioni – sia solo la superiorità a generare il riso?
Tali questioni, una volta che avessero anche solo prime risposte, consentirebbero di elaborare ulteriormente una proposta di definizione della comicità letteraria, che Orlando ha formulato a partire da Freud. E in particolare, coniugandola con l’impostazione stilistica di Auerbach, tratteggiare una sua declinazione storica.
Ricerca approvata il 29 gennaio 2012. Seminario di ricerca: 21-22 marzo 2013.