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Attività dei Soci - Seminari "Nel contagio" a cura di Francesco de Cristofaro

Nel contagio
Nove seminari sulla rappresentazione letteraria della malattia
a cura di Francesco de Cristofaro
 
giovedì, ore 17.00 in diretta sul gruppo Facebook "Nel contagio"
 
Il ciclo Nel contagio. Nove seminari sulla rappresentazione letteraria della malattia vuole fornire l’occasione per discutere e comprendere meglio, attraverso la letteratura, un aspetto cruciale della nostra esperienza presente. L’espressione impiegata nel titolo restituisce appunto questa condizione “interna”, questo essere al tempo stesso soggetti e oggetti della riflessione critica. Il “seminario virtuale” è caratterizzato soprattutto da un atteggiamento servile verso i testi: c’è un piccolo canone di partenza, con ventisette opere (tre per ciascuno dei sottotemi individuati: Il flagello, Innocenti evasioni, Epidemia e modernità, Allegorie della politica, Il male siamo noi, Le creature, Malattia come metafora I - Il cancro, Malattia come metafora II - L’AIDS, Dopo la fine), ma i partecipanti sono invitati a intervenire e a portare il loro contributo, sia nelle “dirette” del giovedì pomeriggio, sia pubblicando sulla bacheca del gruppo.
 
Le declinazioni del tema del contagio sembrano disegnare, lungo una diacronia millenaria, una curva apparentemente paradossale: che, dopo essersi spostata da un grado massimo di astrazione e di trascendenza – Omero, la Bibbia, Lucrezio – a un segnalato taglio razionalistico e storico-documentario (si pensi a Defoe e a Manzoni, per quanto nelle loro rappresentazioni non manchino incrinature e slittamenti di senso), nell’ultimo secolo torna, in qualche modo torna, ai valori metafisici e allegorici da cui era partita. In questo senso la peste di Camus, la cecità di Saramago o l’apocalissi di McCarthy ci riconsegnano un mondo desolato, dove sembra che gli uomini scontino una colpa imperscrutabile, forse prenatale. La colpa consisterebbe, come ha spiegato Sergio Givone in Metafisica della peste, nella stessa appartenenza degli uomini alla Natura. Questo non significa che tali autori non raccontino la società ove il male alligna, anzi: è proprio attraverso il male che la raccontano. Se una linea nobile (che parte da Tucidide ma si spinge fino alla novella di Verga Quelli del colèra) poteva rappresentare la degradazione e la deiezione dell’humanum cui l’epidemia conduce, in questi altri casi l’alienazione, l’egoismo, il cinismo del mondo contemporaneo preesistono al contagio o forse sono essi stessi il contagio.
 
Se è vero che le opere mirano, almeno nella maggioranza dei casi, a fornire insegnamenti ai lettori, nei racconti delle epidemie tali insegnamenti risultano spesso contraddittori e fanno i conti, oltre che con le ideologie soggiacenti ai testi, con i progetti estetici cui tendono e con i generi letterari di riferimento. Procedendo con un certo schematismo, e limitandosi a due classici della nostra tradizione nazionale: ciò che intende fare Manzoni con la Storia della colonna infame, ovvero denunciare un male assoluto che resta però soprattutto un fatto umano, discendente dall’offesa di alcuni individui verso una serie di valori morali che dovrebbero governare una società, è diametralmente opposto alla “ricreazione” e all’intrattenimento che la pestilenza rende possibile nel Decameron. Tra un opposto e l’altro si danno moltissimi casi, tra i quali si può citare Defoe, che non senza ragione scrive il suo Diario dell’anno della peste nel momento in cui si teme che stia arrivando un’epidemia da Marsiglia, e così dispensa dati, bollettini delle parrocchie e «due preparations for the plague» (titolo di un’altra sua opera perfettamente sincrona e assai meno nota), risultando così immediatamente finalizzato su di un piano pragmatico. E come quello di Defoe, molti altri racconti della peste ci insegnano la pietà, l’impegno per gli altri, la cura di sé, la difficile disciplina dell’attesa.

 

News del 15/03/2020


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