Laboratorio Malatestiano
29-30 settembre 2023
Rocca Malatestiana
Santarcangelo di Romagna
Il Laboratorio Malatestiano 2023 cambierà quest’anno leggermente la sua formula. Caratterizzato come in passato da una forte presenza di giovani studiosi, da una particolare attenzione per il contemporaneo e il taglio inter artes, nelle prossime edizioni il Laboratorio vedrà articolare tale struttura intorno a un’arte e un genere particolare. Per il 2023 saranno privilegiati il teatro e lo spettacolo, nel 2024 sarà il cinema l’ambito centrale e l’anno successivo sarà la volta della narrativa e della poesia.
L’argomento scelto dai curatori per il 2023 ha una evidente matrice scenica e coreutica, rimanda alle possibili origini del teatro nel coro dionisiaco e le funzioni del coro nella grande tragedia attica. Le tante trasformazioni che questo dispositivo tipicamente metateatrale subisce nel corso del tempo portano a un decadere delle sue funzioni fino a farlo quasi sparire dalla scena di prosa, mentre nell’opera lirica trova un suo luogo congeniale. A partire dalla fine del XIX secolo, le frequenti riproposizioni di tragedie classiche sulle antiche arene stimolano nuovi interrogativi, soluzioni sceniche e performative in grado di restituire vita a quell’oggetto misterioso composto di mimica, ritmo e canto. I teatri popolari, i teatri politici e di regime trasformeranno nel Novecento il coro in movimenti di masse e in rito collettivo.
All’inizio del XX secolo il coro, o meglio la modalità corale del dialogo, in parallelo all’espandersi della forma monologica, si offre a drammaturghi e interpreti con una funzione dirompente nei confronti della struttura dialogica aristotelica e intersoggettiva. Sulle scene l’impianto del coro si distanzia ancora di più dal modello classico, si tratta piuttosto di una “coralità” neutra, venendo per lo più a mancare il carattere unitario e unisono di quello antico, la sua funzione di personaggio collettivo. Scrive Sarrazac «Aujourd’hui, nous n’avons plus de la communauté qu’une nostalgie et du Choeur qu’un lointain avatar: la choralité. Entendant un choeur dispersé, disseminé et, surtout discordant. Une polyphonie rompue» (Poetique du drame moderne, p. 202).
In parallelo procede la crisi del personaggio, non più entità psicologica o carattere, a partire in particolare da Strindberg e Pirandello: esemplari le “maschere nude” cui lo scrittore agrigentino intitola la raccolta dei suoi drammi. Il personaggio appare tanto più in declino nelle opere teatrali contemporanee, si pensi a Beckett nei Dramaticules, Pinter in No Man’s Land, B.-M. Kolte`s in La nuit juste avant les Forest, il teatro tutto di Sarah Kane.
Dal secondo dopoguerra sempre più riconoscibile e` la tendenza a un teatro della coralità pura, un teatro che risulta dalla esplosione del nucleo narrativo del protagonista e ne riunisce i frammenti in diverse figure che spesso risultano anonime. È una coralità legata a una forma frammentaria e a una messa in discussione della pretesa della forma drammatica di cogliere e raccontare il mondo a partire da motivi di contrasto e la loro ricomposizione. Come scrive Hans-Thies Lemhann: «A new theatre form must reconnect with the relics and displaced figures and forms, in which the basic model of the axis chorus/individual survived». (Postdramatic Theatre, p. 131) La doppia funzione del coro antico che consentiva alle sue voci di trovarsi dentro e fuori dal dramma è stata spesso fatta propria da questo tipo di drammaturgia, si pensi agli ultimi testi di Sarah Kane in cui la trama si divide in brani di azione che affiorano sulla linea della storia o rimangono soltanto come azione riportata.
Questo sembra essere particolarmente vero in un’era contemporanea fortemente mediatica in cui il linguaggio teatrale riflette il moltiplicarsi delle voci presenti in rete che parlano in differita rompendo ancora una volta quella unita` dialogica che era centrale nel teatro classico e su cui poggiava l’universo drammatico nel rapporto tra monologo e coro.
Il narratore e` cosi` escluso rimpiazzato da una serie di enunciatori (il cui status e` estremamente variabile nelle diverse ricorrenze) che in alcuni testi soppiantano i personaggi annullando lo scarto tra il narrare e l’agire. Valga da esempio un’ampia porzione della drammaturgia di Martin Crimp in cui, oltre a riflettersi lo stile del political spin e del media talk cosi` diffuso in rete, espone un discorso riportato da un coro di enunciatori che riprende una modalità antifonale.
Sara` interessante verificare con alcuni esempi come questa “coralità” si declini in altri ambiti artistici. La danza contemporanea in primo luogo, dove più icasticamente i corpi in movimento rimandano a una coralità originaria, geneticamente discontinua e simultanea che sperimenta dinamiche instabili di gruppi e individui. L’ensemble dei danzatori può coagularsi in materia organica primordiale, il cui primo sconvolgente apparire è nel 1913 la coreografia di Nižinskij per il rivoluzionario Sacre du printemps.
L’idea di coralità torna anche nel discorso letterario e in particolar modo nella narrativa e nella poesia contemporanee, dove la tensione tra individuo e comunità e tra autore e coro, anima e struttura opere in cui l’istanza individuale si confronta con una prospettiva sovraindividuale e plurale. Tale fenomeno si presenta prima di tutto in alcune riscritture dei miti classici in cui l’eroe tragico viene reinterpretato alla luce della sensibilità contemporanea: si pensi a Christa Wolf, Heiner Muller, Ann Carson. Nel romanzo, la coralità diventa tecnica narrativa laddove il racconto prende forma attraverso una pluralità di voci – e di relativi punti di vista – che possono essere ben distinte tra loro o al contrario farsi espressione di una collettività e quindi non corrispondere a specifici personaggi dotati di una psicologia propria. Sara` quindi interessante ragionare sui modi in cui il cosiddetto “romanzo corale” (dai Malavoglia a Cent’anni di solitudine) in cui e` una comunità che di fatto parla e commenta le vicende, torni nel romanzo degli ultimi decenni in forme ancora più sperimentali e radicali, come accade nell’opera di Antonio Lobo Antunes e Gu¨nther Grass, i cui romanzi polifonici assomigliano quasi a palinsesti teatrali. Simili esempi possono stimolare una serie di riflessioni teoriche sulla relazione tra epos e romanzo e sul rapporto non scontato tra coralità narrativa e polifonia romanzesca, intesa in senso bachtiniano. Ragionando sulla dinamica tra singolo e collettività, si potranno inoltre prendere in esame opere che mettano in scena un’istanza sovrapersonale, un “noi” che detiene il timone del racconto (si pensi ad Annie Ernaux).
A breve il programma e le informazioni per raggiungere la sede del Laboratorio.