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Il senso di colpa dal mito antico al romanzo moderno

26-27 maggio 2023 - Colloquio Malatestiano di Letteratura - Santarcangelo di Romagna, Rocca Malatestiana

L’argomento delle due giornate, curate da Paolo Amalfitano, Francesco Fiorentino, Loretta Innocenti, Paolo Tortonese e Sergio Zatti, sarà Il senso di colpa dal mito antico al romanzo moderno (scarica qui il programma e le informazioni per raggiungere la sede del Colloquio).

Interverranno: Anna Baldini, Mariolina Bertini, Marco Caratozzolo, Alessandro Grilli, Loretta Innocenti, Andreina Lavagetto, Giuseppe Nori, Paolo Tortonese, Sergio Zatti e Paolo Zublena.

 

Scheda Scientifica del Colloquio

Il tema del rimorso può essere considerato come uno strumento al servizio della coerenza narrativa e come un rivelatore di grandi tendenze della riflessione morale nella cultura europea. 
Nelle sue fasi più antiche, il senso di colpa emerge da una progressiva interiorizzazione delle idee di responsabilità e di intenzione. La nozione moderna di ‘rimorso’, tuttavia, presuppone un tipo di travaglio interiore del tutto estraneo alla cultura antica. Per i Greci, infatti, l’intenzione era secondaria rispetto alla contaminazione oggettiva causata da un crimine: premeditato o preterintenzionale, l’omicidio era in primo luogo un miasma – anche se commesso per adempiere un dovere culturale, come la vendetta di Oreste contro sua madre Clitennestra. Proprio l’esempio di Oreste, esecutore ritroso e ambivalente della volontà divina, rivela quanto il problema della responsabilità e dell’adesione interiore alle azioni trasgressive sia comunque al centro della riflessione tragica: anche se, nelle sue trasformazioni da Eschilo a Euripide, Oreste è preda di un tormento sempre più vicino alla patologia mentale, nel mito quel tormento è concepito come persecuzione oggettiva da parte delle Erinni, le divinità ctonie preposte alla punizione dei crimini contro i consanguinei. In altri casi, più lineari, la colpa scaturisce da un’infrazione volontaria dell’ordine culturale (hybris), ma anche allora essa viene pensata spesso come ‘accecamento’ (ate) – una nozione che attribuisce a un fattore trascendente la responsabilità ultima del male compiuto dal soggetto, e che si può leggere quindi come un vero e proprio negativo fotografico del rimorso, cioè della moderna scissione interiore. Questa tensione tra la responsabilità soggettiva dell’azione illecita e la sua origine in forze esterne è un elemento fondamentale nel teatro tragico, leggibile ad esempio nell’enorme distanza che separa l’Edipo sofocleo dalla sua riscrittura senecana. Il primo è rappresentato come una vittima innocente di forze esterne trascendenti e implacabili; il secondo è animato da emozioni torbide e irrequiete che fanno dell’eroe parricida e incestuoso un complice subliminale del suo destino – oltre che il vero caso focale della teoria edipica di Freud. Nel 1951 Eric Dodds cerca di mappare le forme più antiche della nozione di colpa nella cultura greca applicando ai Greci l’opposizione tra ‘civiltà di vergogna’ e ‘civiltà di colpa’, introdotta in antropologia da Ruth Benedict pochi anni prima. Al di là dell’ampio dibattito innescato da un’ipotesi così suggestiva è utile tenere presente che vergogna e colpa sono due aspetti di una stessa emozione cognitiva: la vergogna si definisce come crisi dell’immagine sociale del soggetto (la perdita della faccia), mentre il rimorso/senso di colpa nasce dalla crisi dell’immagine che il soggetto ha di sé stesso, in relazione a regole cui aderisce interiormente e che percepisce come vincolanti. L’oscillazione tra vergogna e colpa definisce insomma una superficie di negoziazione continua tra l’io e il mondo che è di grande aiuto nella comprensione storica e nelle analisi dei processi di costruzione della soggettività.
Nel mondo cristiano due sono le immagini iniziali da cui si può dedurre una polarità costante: quella di Giuda suicida e quella di san Pietro pentito; nel primo caso il rimorso conduce alla distruzione, nel secondo alla salvezza. Questa alternativa avrà una lunga storia nella dottrina morale e in diversi generi letterari e sulle scene teatrali. Il rimorso è sofferenza e memoria, e permette al racconto di giocare sul rapporto tra azioni e coscienza del personaggio. Il rimorso blocca la storia, o la fa andare avanti in modi e tempi che non sono quelli inizialmente previsti dall’autore dell’azione. Né la Fedra o il Nerone di Racine, né l’Antigone di Rotrou, ancor meno il Macbeth di Shakespeare sono spinti dal rimorso verso la redenzione. Peggio ancora, Riccardo III respinge violentemente il rimorso. Il criminale è a quel punto in lotta contro la coscienza cristiana, proprio mentre la cultura della Controriforma si sforza di costruire una teologia del rimorso. Nel testo persino la sua assenza può essere rilevante (si veda la figura del villain nel teatro elisabettiano) dando luogo a figure del male che non provano alcun pentimento.
Nell’Ottocento il rimorso ritorna in scena, e ricomincia a porre la questione della legge e della virtù. Balzac nel Curé de Village et nell’Envers de l’histoire contemporaine, Zola in Thérèse Raquin, in Russia Dostoevskij in Delitto e Castigo e Tolstoj in Resurrezione, in Inghilterra Conrad in Lord Jim, ecc., in Italia Svevo nella Coscienza di Zeno, per fare solo alcuni esempi eclatanti, affrontano questo tema nelle sue implicazioni psicologiche, morali e storiche.
A partire dal Novecento l’ambito del rimorso si estende a forme più complesse, inconsce e spesso non più legate solo al personaggio ma diffuse nell’intero testo.
Ad esempio, in Kafka, ne Il Processo e ne Il Castello, o ne L’Innominabile il terzo romanzo della Trilogia di Beckett, la colpa diventa la connotazione dell’intera realtà, una dimensione non più interiore quanto ubiqua che determina comportamenti incomprensibili e incongrui dei personaggi e gira a vuoto tessendo trame senza soluzioni né senso. 
La colpa ha perso il senso.
Il senso di colpa è legato, come il rimorso, alla sofferenza e all’espiazione, ma a queste manca la motivazione o, almeno, il peccato o il male non sono semplificabili e appartengono alla condizione umana. Angoscia e inquietudine sono così analizzati dalla narrazione con strumenti di introspezione psicologica, ma il racconto necessariamente ruota attorno a un nucleo oscuro e non decifrabile. 
Anche se questa modalità è più complessa e ascrivibile in generale al Novecento, nel mondo anglosassone è rintracciabile anche nel romanzo ottocentesco. In particolare, è ciò che accade con i narratori del simbolismo americano, influenzati anche dal trascendentalismo (Melville, Poe, Hawthorne e successivamente James); la loro cultura puritana giustifica l’enfasi su un male generalizzato e interiorizzato (fino dal Satana di Milton che nel libro IV di Paradise Lost è torturato da un inferno che riconosce come parte di sé). Alcuni esempi ne sono Moby Dick, con la sua maniacale sete di vendetta e le riflessioni sul rapporto con Dio; The Scarlet Letter e i racconti brevi di Hawthorne, misteriosi e senza un centro, cui il rapporto tra bene e male possa aggrapparsi, e con un finale ambiguo; la narrativa di Henry James, enigmatica e suscettibile di interpretazioni diverse così come alcuni romanzi di Conrad. 
Dopo la teoria freudiana dell’Edipo tutta la letteratura del ’900 ha dovuto misurarsi con la nuova concezione della colpa e del suo legame con l’inconscio.
L’insondabilità dell'inconscio viene esplorata attraverso la possibilità morale di essere colpevoli senza essere peccatori, per l’insufficienza morale dell’essere umano, o di essere peccatori al confronto con meccanismi sociali o riflessioni politiche come nei romanzi della colpa coloniale.
 
 
Paolo Amalfitano
Francesco Fiorentino
Loretta Innocenti
Paolo Tortonese
Sergio Zatti


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