21-22 ottobre 2022 Colloquio di Poesia - Napoli, Fondazione Ezio De Felice, Teatro di Palazzo Donn'Anna
L'argomento delle due giornate, curate da Paolo Amalfitano, Flavia Gherardi, Adriana Guarnieri, Riccardo Held e Sergio Zatti, sarà Il suono e il senso. Il valore delle fonie nella composizione del testo poetico (1700-2000) (scarica qui programma e informazioni per raggiungere la sede del Colloquio)
Interverranno: Fecerico Bellini, Ida Campeggiani, Rocco Coronato. Paolo Gallarati, Michele Garda, Maurizio Giani, Mario Gerolamo Mossa, Valerio Nardoni, Luca Pietromarchi, Enrico Reggiani, Henri Scepi, Savina Stevanato, Luca Zoppelli.
Il colloquio fa parte del ciclo biennale:
Il rapporto tra il suono e il senso, le due facce di ogni componimento poetico, ha radici antichissime e presenta, lungo i secoli, molte varianti e molte continuità: sia sul piano dell’espressione, dove si succedono, partendo dall'XII secolo, o ritornano, le principali forme metrico-prosodiche e musicali generative della poesia europea - la canzone provenzale, il rondeau, il sonetto, la terzina, l’endecasillabo, l’ottava rima, il settenario, i madrigali, l’alessandrino, i songs e i canti (nelle tante declinazioni), i Lieder romantici, le mélodies fino ad arrivare al verso libero, al verso sciolto o all'aritmia poetica dei componimenti otto-novecenteschi -, sia sul
piano del contenuto dove, nel lungo regime dell'imitatio, si ritrovano, in continue metamorfosi, temi e topoi antichi provenienti dal mondo classico e da quello medievale e temi nuovi, soprattutto negli ultimi tre secoli.
Tra i corsi e i ricorsi più interessanti nei testi poetici dell'arco di tempo che i due Colloqui prendono in considerazione (XII-XX secolo) ci sono alcune dicotomie topiche che riguardano sia le forme che i contenuti. Tra esse una che ritroviamo in tanti capolavori di differenti letterature in epoche anche lontane tra loro è l'antitesi chiarezza vs. oscurità. Una dicotomia che si è sempre intrecciata con una questione etica, una distinzione che prende le mosse da un lato dalle ramificazioni medievali e poi rinascimentali del neoplatonismo, dall'altro dall'influenza dell'estetica di Tommaso d'Aquino e dalla diffusione dell'aristotelismo cristiano in Europa.
Chiarezza vs. oscurità è una contrapposizione formale che, spesso, neanche l'ambiguità poetica riesce a ridurre nei testi; un'antinomia che raramente si risolve in ossimoro, ma quasi sempre è gravida di effetti e contiene o nasconde, nelle molteplici metamorfosi in cui si manifesta, i codici per arrivare all'interpretazione del senso. Può valere quindi la pena di assumerla come una bussola che ci permette di seguire una rotta per attraversare il "mare aperto" del nostro argomento. Senza mai perdere di vista il suo opposto, la chiarezza - che si declina assumendo valori assai diversi che vanno dalla claritas della Summa Theologiae, medievale e cristiana, alla chiarezza del verosimile realistico sette-ottocentesco - potremmo provare a indagare e approfondire quest'antitesi soprattutto guardando al versante dell’oscurità. Oscurità che ritroviamo, nella storia della poesia, soprattutto nella forma breve, in quella che oggi si definisce poesia lirica, dove nella brevità del componimento si concentrano pochi e ricorrenti temi, sentimenti e valori legati per lo più alla soggettività del poeta e, a partire dai romantici, alla manifestazione della loro interiorità.
Già nei trovatori del XII secolo la troviamo codificata nella forma del trobar clus, per poi ritrovarla agli albori della poesia italiana e nelle Rime di Dante e soprattutto nella poesia rinascimentale (si pensi al petrarchismo manieristico del Tasso) da cui si diffonde in Europa, nei secoli successivi, come tratto elevato e aristocratico di un linguaggio per "iniziati colti". Difatti, in forme ancora più complesse l'oscurità segna la poesia barocca spagnola del Siglo de Oro: si pensi a Góngora, come all’opera poetica di Shakespeare, di Donne e di molti altri poeti elisabettiani o anche, per l’Italia, a Marino e ai marinisti.
Un filo rosso lega gli espedienti e gli artifici retorici di molte e diverse scuole poetiche che coltivano in quei secoli un esoterismo dell’espressione, che separa e complica la relazione tra forma e contenuto e porta a quella che si potrebbe definire un’estetica dell’allusione, fondata paradossalmente sul trionfo della metafora, che declina livelli più o meno intelligibili di oscurità. E questo solleva un altro interrogativo cruciale - discusso anche in un noto e parallelo dibattito teorico - su quale tipo di oscurità debba ritenersi tollerabile senza venir meno alla funzione morale ed edificatrice della poesia, che reclama invece una trasmissione ‘chiara’ del contenuto.
Non va dimenticato, in ogni caso, che per i trovatori (ma sarà così anche per la poesia in volgare delle origini, per Dante e ancor più per quella barocca, arrivando forse fino a Blake) l’oscurità iscritta nell’elocutio è assunta come una convenzione legittimata dal furore divino quale sua causa originaria. Siamo sotto l’egida degli “oscuri velami” delle tradizioni sufi, orfiche e misteriche, in cui i segni poetico-linguistici sono chiamati ad assolvere spesso a funzioni di innografia liturgica, cui dunque non è estraneo l’impianto fonologico del componimento, come mostra l’inedito sodalizio che tra versificazione e sonorità musicale consacra questo genere di poesia rinascimentale.
Nella Spagna della tradizionale opposizione tra l’oscuridad dei cultisti e la claridad dei concettisti – in cui ritroviamo attualizzata la dicotomia tra trobar clus e trobar leu - si configurano dei nuovi rapporti tra il suono e il senso. Una relazione che si fonda non nel mero recupero di espedienti, garanti di ermetismo (già in uso presso la classicità latina), bensì in una nuova esasperata concentrazione di figure fondate proprio sulla sonorità, una sonorità tuttavia tacciata di essere ‘vuota’, e per questo osteggiata, in virtù del suo irrazionale allontanamento dalla realtà.
La condensazione figurale barocca assume spesso in M. Opitz, P. Fleming e A. Gryphius toni notturni, di buio e di vuoto, a rispecchiare la desolazione prodotta in Germania dagli anni che precedono e seguono la guerra dei trent’ anni.
Dopo una presenza assai tenue nell’epoca tra fine Seicento e Settecento, dove prevalgono la poetica della verosimiglianza e della chiarezza con le figure dell'ironia, l'oscurità poetica ritorna ad essere molto più densa nella poesia lirica romantica, inglese e tedesca (Novalis, Hölderlin), e trova delle manifestazioni ancora più complesse nei poeti del decadentismo e del simbolismo, soprattutto francese, da Baudelaire, a Rimbaud, a Mallarmé. Con rinnovato vigore creativo la ritroviamo, in ulteriori metamorfosi, anche nel manierismo del primo Novecento, l’epoca del verso libero, del verso sciolto e dell'aritmia compositiva, in poeti della grandezza di T.S. Eliot, G.Trakl, P.Celan e in vari altri, e nell’ermetismo di E. Montale.
Successivamente, nelle sperimentazioni radicalmente avanguardistiche quali la poesia fonetica di derivazione futurista e dadaista, compaiono altre forme di oscurità poetica in cui si rifugge deliberatamente dalla parola quale unico veicolo di significato per affidare alla catena strutturata di suoni differenziati il surplus di senso che è negato al lessema.
Così come altri grandi binomi antitetici che traversano tutta la letteratura europea (antichi vs. moderni, classicismi vs. manierismi) anche l’opposizione chiarezza vs. oscurità nei componimenti poetici si propone come un dilemma, in questo caso non solo storico, filosofico e letterario, ma anche strutturale, di difficile soluzione. E non solo per la sua ricorrenza nella poesia lirica europea, ma soprattutto per la complessità e varietà delle relazioni tra suono e senso, interne al testo, in cui si nascondono le chiavi del rebus.
Come si determina e che effetti provoca l'oscurità di un testo poetico? Che accordo segreto si viene a creare tra l'opacità del significato e le forme ritmico-prosodiche della composizione - a volte nate insieme alle musiche propriamente intese dalla collaborazione tra un poeta e un compositore, oppure “destinate” a musiche successive anche plurime - dalle quali quest’oscurità prende forza per suscitare tante emozioni anche contrastanti?
Quali modelli o paradigmi potrebbero essere utili per cercare di disegnare una mappa dei "testi oscuri", delle loro forme foniche e del loro significato che, nel confronto intertestuale, porti alla luce una rete di parentele e di tratti comuni tra testi della lirica europea particolarmente rappresentativi?
Dare una risposta a quest’ultimo quesito potrebbe rendere più solida anche l'interpretazione dei singoli testi, non tanto svelando ciò che l'oscurità nasconde quanto mostrando come sia proprio il mascheramento del significato a darci quell'emozione intensa e felicemente confusa che suscitano le poesie, e le poesie musicate, quando il piacere più profondo sta nel farci "sentire senza capire".
Paolo Amalfitano
Flavia Gherardi
Adriana Guarnieri
Riccardo Held
Sergio Zatti