L'inverosimile realistico e le coincidenze impossibili. Quando il racconto diventa immotivato, incoerente, improbabile
Rocca Malatestiana, 28-29 maggio 2021 Santarcangelo di Romagna, Rimini
Interverranno: Paolo Amalfitano, Mariolina Bertini, Marco Caratozzolo, Francesco de Cristofaro, Jacques-David Ebguy, Stefano Ercolino, Daniele Giglioli, Alessandro Grilli, Gianni Iotti, Camilla Miglio, Sara Sullam, Attilio Scuderi, Piero Toffano, Enrica Villari.
Scheda Scientifica del Colloquio
L'inverosimile realistico e le coincidenze impossibili. Quando il racconto diventa immotivato, incoerente, improbabile
L’inverosimile è tra le categorie letterarie una delle più vaste che al suo interno può comprendere sia testi ascrivibili al genere fiabesco, sia altri del genere fantastico, sia altri ancora del genere fantascientifico. Ovverosia qualunque testo in cui il registro retorico e la selezione tematica violano le regole delle leggi naturali o le regole logiche. Queste ultime due non sono categorie storiche ma attengono allo statuto stesso del mondo fisico e del pensiero umano.
In questo senso inteso, l’inverosimile letterario riguarderebbe una numerosissima e variegata quantità di testi di differenti generi presenti in tante varianti lungo tutta la storia delle letterature occidentali di cui una classificazione, o un approfondimento di indagine, risulterebbero poco produttivi e in larga misura già fatti.
Crediamo che sia molto più interessante modificare la prospettiva dell’indagine e guardare alla presenza dell’inverosimile e al ruolo decisivo che svolge, laddove si suppone che non debba esistere, cioè in tutti i testi che si rifanno alle poetiche della verosimiglianza.
Infatti, nonostante siano narrati in modo realistico – quindi senza concessioni al fantastico o al soprannaturale ma fondati sulla credibilità della rappresentazione dei fatti – spesso gli accadimenti di un racconto verosimile sconfinano nell’improbabile, rasentano l'impossibile, creano coincidenze tanto "fortunate" o "sfortunate" da contraddire alla radice la plausibilità della trama che, non più garantita da un sistema di motivazioni coerenti, diventa incerta, opinabile fino a mettere a dura prova il suo cosiddetto "realismo". Agnizioni inverosimili, soluzioni incoerenti, bruschi cambiamenti di prospettiva o di finalità, colpi di scena, tutti meccanismi antichi e ricorrenti in epoche diverse, comuni nelle commedie e in altri generi, ma anche molto frequenti nei romanzi seri.
L’interesse di questa indagine verte sui nodi essenziali che consentono di definire romanzesco un testo e può fornire delle risposte anche a questioni fondative che riguardano la natura stessa delle finzioni. L’inverosimile, che qui definiamo per semplificare “realistico”, è quello che continuamente si nasconde in testi, soprattutto dal primo ’700 all’inizio del ’900, in cui la sfida mimetica è il principale obiettivo di chi racconta. Questa mimesis contiene al suo interno un’antimimesis, cioè una rottura continua non solo delle leggi naturali e delle regole logiche, ma anche di volta in volta dei codici storici della verosimiglianza.
Se infatti questi criteri di verosimiglianza variano nel tempo e diventano elementi identitari dei diversi periodi storici, questo inverosimile spesso passa del tutto inosservato alla lettura superficiale dei testi o all’incastro delle trame messe in scena su un palcoscenico, proprio perché è immerso e in qualche modo “annegato” in una sequenza che mira ad accreditare il racconto come “una rappresentazione del vero”.
Mentre la sequenza delle vicende storiche o quella del vissuto individuale è nella realtà segnata continuamente dalla categoria dello spreco – cioè dalla compresenza di elementi che non riescono a trovare un posto nel mosaico e quindi a dare una forma alla cosiddetta storia – la letteratura all’inverso vive e deve la sua felice differenza proprio al fatto di fondarsi sul principio opposto: l’economia del racconto.
Nulla è inutile, nulla è fuori posto, tutto è necessario.
Il mosaico assume una forma – fosse anche quella che più sembra informe – proprio perché, al di là delle intenzioni dell’autore, non ammette deroghe a questa regola. Di tutto questo l’esempio più evidente e più tangibile lo possiamo ritrovare nel sistema delle coincidenze che presiede (anche quando sembrano mancate) alla perfezione delle trame e che arriva in molti casi - come dicevamo prima - a mettere a dura prova la credibilità del racconto, regalando in compenso al lettore un piacere profondo e regressivo.
Coincidenze che non somigliano, anzi si oppongono sia ai modi della narrazione storica che a quelli della biografia individuale.
Se la vita, come scriveva Montale, è questo scialo / di triti fatti, vano / più che crudele, la letteratura può mettere in scena tanto la vanità quanto la crudeltà ma non può consentirsi alcuno scialo.
Il verosimile nella misura parziale in cui può identificarsi col prevedibile può recare una notevole lesione all’interesse romanzesco. D’altra parte, nel Sette e soprattutto nell’ Ottocento, un eccesso di caso – tipico delle forme più arcaiche di romanzo – o un ricorso eccessivo al mirabolante, sotto forma di imprese straordinarie o inverosimili, viene sentito come una forma corriva o infantile – i romanzi per ragazzi – di narrazione. I romanzieri come Jules Verne che costeggiano sempre lo straordinario si impegnano infatti a dargli una motivazione scientifica o almeno attendibile. Il romanziere realista si trova dunque sempre tra questi due poli: il verosimile che si richiama all’esperienza del lettore e al suo orizzonte d’attesa e il romanzesco che per appassionarlo deve eccederlo.
Il Colloquio si propone di interrogare i testi più rappresentativi delle letterature europee degli ultimi tre secoli basati su criteri di verosimiglianza, per cogliere al loro interno l’elemento “romanzesco”, cioè differente, arbitrario, ma proprio per questo necessario e quasi sempre fondativo della qualità artistica di quei testi.
Genette, molti anni fa, opponeva la verosimiglianza alla motivazione sostenendo la necessità che un racconto verosimile dovesse sempre rendere conto delle cause e degli effetti di ciò che raccontava cioè della sua motivazione. E che la mancanza di motivazione fosse quindi antitetica e incompatibile con la rappresentazione verosimile.
Così come degli avvenimenti che sfuggano ai criteri di probabilità, essendo nella realtà eventi quasi impossibili, possono venire rappresentati nelle narrazioni in modo da apparire del tutto normali, cioè perfettamente integrati nella sequenza del racconto.
È proprio a tutte queste infrazioni nascoste, a queste incoerenze che sembrano normali, a queste coincidenze che ci fanno godere cancellandone la radicale improbabilità, che il piacere del testo e il piacere della mimesi devono tutto. Le finzioni quindi cercano di mascherare nella mimesi del verosimile la loro essenza antimimetica, facendola diventare un filo rosso e occulto che innerva la cosiddetta rappresentazione della realtà.
Passando a degli esempi che partono proprio dalla nascita del novel nel Settecento, si potrebbero citare due scene: una da Moll Flanders di Defoe, e l’altra da Pamela di Richardson.
Nel primo romanzo, si assiste a una mirabolante e improbabile serie di agnizioni. Moll, la protagonista ladra e prostituta, dopo una serie di avventure, sposa un uomo che la crede ricca e che le fa credere di esserlo anche lui. Anche dopo aver scoperto l’inganno, continuano ad amarsi molto, hanno due figli e lei è in attesa di un terzo quando decidono di andare in Virginia con il miraggio di una vita migliore. Lì vive la madre di lui che ha sposato un nuovo marito benestante e proprietario di una piantagione. Sono accolti con molto affetto e generosità da questa donna anziana ma un giorno la suocera, raccontandole la sua storia, le rivela di essere stata da giovane condannata e rinchiusa nel carcere di Newgate. E, continuando, aggiunge molti particolari su quegli anni della sua gioventù vissuti a Londra prima di essere deportata come criminale nel Nuovo Mondo. All’improvviso Moll, ascoltandola, capisce che la persona che le sta davanti non è altri che sua madre.
La conseguenza di questa agnizione sorprendente è ancora più sorprendente, poiché comporta che l'uomo che lei ha sposato e padre dei suoi figli non sia altri che suo fratello, o più precisamente fratellastro.
Tutto ciò viene presentato da Defoe al lettore come un fatto normale, per niente eccezionale, e tanto meno inverosimile, senza che tutte queste coincidenze improbabili per non dire impossibili alterino lo stile della narrazione che ne prende atto e ingloba, senza scarti, questa scoperta come una delle tante "svolte" nella biografia della protagonista.
Nel secondo romanzo, Pamela, cameriera in casa di Mr B, in una continua corrispondenza epistolare con i genitori racconta della paura che prova per il padrone che continuamente la insidia, e delle tante prove che deve superare per mantenere intatta la sua virtù. Poi, a un certo punto del racconto, dopo averla sottoposta a tutte le angherie, gli inganni e i soprusi possibili, il suo aguzzino legge le lettere di Pamela, ammira la forza della sua onestà e, provando compassione per lei, decide di lasciarla libera di tornare a casa dai suoi.
In viaggio, Pamela legge una lettera che Mr. B le fa recapitare e davanti al suo addio pieno di rimpianto, cambia improvvisamente idea e si accorge di amarlo, riconoscendogli senso dell’onore e un sincero affetto per lei. Pronta, dopo una seconda lettera che contiene un’esplicita dichiarazione d’amore, a sposarlo. Un cambiamento tanto improvviso quanto improbabile, non foss'altro per la velocità con cui avviene, anche in questo caso assunto nel corpo del testo non come un fatto sorprendente, immotivato, ben poco plausibile, bensì come un fatto avvenuto, e quindi verosimile, normale, un evento come tanti altri.
Consideriamo anche due modalità che si ritrovano entrambe in Balzac. Nella pensione Vauquer si trovano contemporaneamente, tra altri ospiti, un giovane di bell’aspetto e di grandi speranze senza soldi, una possibile ereditiera, un eminente malvivente, un giovane studente di medicina destinato a diventare un grande medico, un ricco pastaio che ha dilapidato il suo patrimonio a favore delle due ingrate figlie, sposatesi con personaggi dell’alta società. Il romanzo comincia presentando Mme Vauquer e tutti i suoi pensionari. Le vicende che si sviluppano a partire da questa convivenza sono verosimili una volta che il caso ha voluto assemblarli tutti nello stesso luogo. Il caso precede l’inizio del romanzo, il presupposto improbabile della storia è occultato in quanto fuori la storia stessa.
Altro esempio: la duchessa di Langeais si fa corteggiare dal generale di Montriveau ma non ha alcuna intenzione di concedersi. I reiterati tentativi del generale vengono sempre stoppati sul più bello. Ma il generale fa parte di una società segreta, I Tredici, e grazie all’aiuto dei suoi complici rapisce la donna al ballo, la sequestra per poterla punire e poi la riporta allo stesso ballo senza che nessuno si accorga di nulla. Una forte frattura si è così operata alla verosimiglianza della storia. I tre romanzi dell’Histoire des Treize, di cui La Duchesse de Langeais fa parte, sono ascritti al genere, tipicamente romantico, del romanzo nero che ha un rapporto molto più lasco di quello realista con la verosimiglianza. Ma ci pare interessante notare come questo unico episodio inverosimile del romanzo spezzi la storia raccontata, ribalti i rapporti tra i personaggi: sia soprattutto un modo per fare affiorare una verità (la duchessa ama ed ha una vocazione masochistica) altrimenti nascosta. In effetti l’inverosimile, il ricorso al caso nella forma più improbabile, nella narrazione realistica ha spesso la funzione di una rivelazione. Accade anche in Flaubert che, come si sa, controllava severamente i suoi eccessi romantici. Alla fine dell’Education sentimentale - ultimo paragrafo del capitolo VI della terza parte - il semplice generoso repubblicano Dussardier viene ucciso a sangue freddo da un agente che si scopre essere Sénéchal, il freddo, fanatico amico d’un tempo. La posizione a fine capitolo, la struttura della frase che solo alla fine rivela l’identità dell’agente assassino, la sottolineatura della sorpresa di Frédéric, tutto tende a marcare il colpo di scena. Questa coincidenza è il sigillo della fine delle speranze rivoluzionarie e soprattutto della fine di ogni fiducia nella natura umana.
Restano aperte molte domande cui il Colloquio con le relazioni degli studiosi invitati cercherà di rispondere. Ad esempio, l'inverosimile rompe l’equilibrio del racconto mettendone in luce l’artificialità e la finzionalità, oppure rappresenta nella narrazione una incoerenza che è del reale, amplificando così il potere della verosimiglianza? Quanto e come cambia la nozione di verosimile, cioè di ciò che il lettore ritiene plausibile, nelle diverse epoche e quindi la sua relazione con l'inverosimile?
In altri termini, vi è una differenza tra la mancanza di motivazione o l’improbabilità nel romanzo sette-ottocentesco, dove giocano un ruolo fondamentale la convenzione narrativa, il patto di lettura e gli orizzonti di attesa basati su una competenza del genere, e il racconto del Novecento, dove spesso è oscuro il senso della fine, prevale l’individualità del momento, la mancanza di senso, la piattezza della quotidianità e le storie in molti casi non hanno una teleologia, non seguono una parabola riconoscibile e si fondano, nella rappresentazione della realtà, sull'assioma del tutto è possibile?
Paolo Amalfitano
Francesco Fiorentino
Loretta Innocenti
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