Il Tempo e la Fine. Figure della caducità e dell’eternità nella poesia classica e moderna
6-7 dicembre 2019 Colloquio di Poesia - Venezia, Fondazione Lavi Palazzo Giustinian Lolin
Interverranno: Paolo Amalfitano, Massimo Bacigalupo, Alvaro Barbieri, Caroline Bertoneche, Giorgio Busetto, Fausto Ciompi, Enrico Fenzi, Flavia Gherardi, Ida Grasso, Loretta Innocenti, Gianni Iotti, Mario Alberto Labate, Massimo Natale, Raffaele Pinto, Andrea Schellino.
Il Tempo e la Fine. Figure della caducità e dell'eternità nella poesia classica e moderna
a cura di Paolo Amalfitnao, Flavia Gherardi, Riccardo Held e Sergio Zatti
L'argomento in discussione del IV Colloquio Malatestiano di Poesia (Venezia, 6-7 dic. 2019), riguarda la relazione della poesia con la morte, e con le sue tante figurazioni, che si presenta come un'infinita partita a scacchi con il tempo giocata nella tradizione letteraria lungo l'arco dei secoli, e segnata da una bipolarità irrisolvibile e affascinante.
Questo nucleo tematico e retorico legato alla necessità di fare i conti con la Fine ha dato vita nel mondo antico e medievale a molti capolavori e a opere fondative della poesia occidentale, dall'Odissea all'Eneide, alla Divina Commedia che hanno aggirato questo limite dando vita nell'opera a una dimensione temporale circolare, ripetitiva e universale. Una grandezza e un' altezza che unificano e danno senso a tutte le esperienze, e, come in un gioco di prestigio, nascondono la precarietà della vita e cancellano ogni dubbio, garantendo un mondo, pagano o cristiano che sia, di certezze.
Ma, da questo stesso nucleo, nasce anche un'altra, opposta, altrettanto grande e antica, tradizione poetica, rappresentata da una notevolissima serie di autori classici e moderni - dai poeti latini, Orazio, Virgilio, Ovidio, si arriva fino al '900, al montaliano male di vivere - che cantano il sentimento della caducità e la finitudine dell'esistenza umana.
La vanità della vita, il labile confine che ci divide dalla morte, l'impossibilità dell'amore, della fede o di un ideale, o anche l'inadeguatezza della realtà rispetto alle aspettative umane, sono solo alcune delle varianti in cui si manifesta questo sentimento disforico ricorrente in tutta la letteratura occidentale.
Nella gran parte dei casi il valore e il piacere dei testi è soprattutto effetto della configurazione del tempo all'interno del componimento. In altre parole il tempo è sia un tema che una forma e suscita nell'ascoltatore o nel lettore un'emozione che, pur nella grande varietà delle formazioni di compromesso in cui si manifesta, è riconducibile, semplificando all'estremo, a due modelli temporali opposti e alle loro interazioni: l'eterno e il caduco.
a) Il primo, quello de la longue durée, è un tempo collettivo più che soggettivo, circolare, ripetitivo, dove tout se tient e le trasformazioni sono lente, a volte impercettibili.
È la forma che unifica i classici anche di epoche e tradizioni diverse. L’aspirazione a essere ‘classico’ (trasformare la morte in vita) è segnata infatti dalla necessità di proiettare le proprie forme verso il passato e verso il futuro in una continuità che sfuma, quasi abolisce i confini temporali e consente di andare oltre la precarietà della vita presente.
Un tempo eterno, un tempo che nega il passare del tempo e contiene tutti i tempi, in cui si inscrive il testo all'atto stesso della sua nascita, molto prima cioè di sapere se la fama darà a quell'opera, e quindi al suo autore, l'immortalità.
Il classicismo è un modo di pensarsi postumo; o, come per Orazio, una rivendicazione del desiderio di durare oltre la morte tutta affidata alle sue Odi, a quel monumentum aere perennius che consentirà al poeta, primo a traghettare i lirici eolici nei ritmi dell'idioma italico, di non morire mai del tutto.
b) Il secondo, all'inverso, vive dell'attimo fuggente, del carpe diem, della discontinuità, e disegna un universo poetico prevalentemente soggettivo, a volte interiorizzato, dominato dal primato del presente, hic et nunc, dal senso della perdita, e anche privo di qualsiasi proiezione nel futuro: un universo senza speranza, cupo e amaro dove, per dirla con Leopardi, impera l'infinita vanità del tutto. Qui si addensano e si moltiplicano le figure della caducità.
Quest'emozione, la caducità, si presenta in genere nel corpus poetico di un autore come un turning point della vita umana, come l'effetto di una scoperta improvvisa o, all'inverso, l'acme di una lenta, dolorosa consapevolezza che ineluttabilmente invade, innerva e dà forma ai suoi componimenti.
Così si costituiscono quei topoi di lungo periodo - come giovinezza vs. vecchiaia e decrepitezza dell'uomo e del mondo, il tema delle rovine, locus amoenus vs. locus horridus nel paesaggio, aridità e sterilità del mondo, ecc. che passano dall'età classica a quella moderna senza soluzione di continuità fino ad annettere, soprattutto dal romanticismo in poi (ma non mancano esempi precedenti), anche l'ars poetica alla dimensione del caduco e dell'eterno quando il componimento lirico recita l'esaurimento della vena creativa, canta la morte della poesia e sceglie, infine, la via del silenzio.
Il congedo del poeta (dal suo pubblico, dalla sua poesia), è spesso molto ambiguo, perché prelude, in diverse forme, a un ritorno in scena come sfida stilistica e favorisce una forte istanza metapoetica (si chiude un tempo della poesia, e si apre un'altra partita).
Infine questa breve presentazione non può tralasciare i tanti casi in cui il tema della caducità nei testi poetici dà vita a figure e a topiche diverse: botaniche, mediche, astronomiche, paesaggistiche, ecc.) anche queste ovviamente legate al senso della fine e alla precarietà non solo della vita umana ma anche della mutabilità del mondo fisico e organico, cioè della Natura.
Figure particolarmente presenti nelle arti figurative e quasi sempre, intrecciate, nei testi poetici, con le topiche nominate in precedenza.
Da questo fin troppo sintetico quadro emerge che sia nel mondo classico che nella poesia medievale e moderna la relazione tra vita e morte - di cui la caducità è il Leitmotiv ricorrente - si nutre di valori oppositivi e di contrasti spesso escatologici.
Da queste tensioni estreme nascono infatti componimenti che non solo cantano ovviamente gli aspetti più vari e dolorosi della fugacità e della fragilità dell'esistenza umana sentita come una sorta di preludio della morte, ma presentano, come Giano bifronte, anche un'altra faccia. Suscitano e trasmettono - in molti casi - l'emozione di una possibile rinascita, una palingenesi, come nei riti della rigenerazione del ciclo delle stagioni, nel superamento della morte nella reincarnazione, e, soprattutto in testi degli ultimi due secoli, nel ritrovamento impossibile (o possibile solo nell'arte), di un mito soggettivo, di un "oggetto perduto".
Questa seconda valenza complica la troppo semplice opposizione tra caducità della vita ed eternità della morte, mescolando tempi e carte, Cronos e il tempo Eterno, e apre, guardando alla storia dei testi poetici più recenti, uno squarcio contraddittorio e una prospettiva diversa per analizzare le continue formazioni di compromesso con cui, pour escamoter la mort, la poesia ha cercato di superare o misurarsi con questa dicotomia radicale.
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