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Le maschere del picaro. Storia di un personaggio e di un genere romanzesco

Il concetto di genere picaresco nasce in Spagna, sullo scorcio del XVI secolo, dalla confluenza o associazione di due romanzi, che videro la luce a circa mezzo secolo di distanza l’uno dall’altro: il Lazarillo de Tormes (1554) e il Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, la cui prima parte uscì nel 1599 (la seconda nel 1604). Da tempo, ormai, ci si è liberati da alcuni equivoci, che nel passato hanno pesato non poco sulla valutazione del genere: da un lato, la confusone con quel tipo di letteratura denominato anatomies of roguery (F. W. Chandler); dall’altro, il riferimento alla categoria di «realismo», sia nella concezione ingenua di rispecchiamento della realtà, sia in quella anacronistica di una poetica di là da venire. A partire dai due grandi romanzi menzionati, il romanzo picaresco si afferma come l’autobiografia di un picaro. Il picaro è colui che, fin dalla nascita, è caratterizzato dal marchio dell’infamia. Nella Spagna degli Asburgo, ossessivamente tormentata dallo statuto della limpieza de sangre, dalla nozione fondamentale di hidalguía, dal codice dell’honor, il picaro, non potendo vantare nulla di tutto ciò, incarna l’antitesi dell’uomo honrado, è un reietto della società. Costui racconta la propria vita, narra, cioè, la storia del suo costituirsi come persona in rapporto al mondo in cui vive. La forma autobiografica è, dunque, maggiormente congeniale al romanzo picaresco. Tra la storia narrata e l’istanza narrativa che la produce il nesso è costituito da un ultimo evento a cui è approdata l’esistenza del protagonista nel presente in cui scrive: il «caso» nel Lazarillo, la «conversione» nel Guzmán. L’evento che lo induce a scrivere determina il punto di vista dal quale egli ricorda e racconta la vita anteriore, fungendo da criterio selezionatore e organizzatore della materia narrata, la quale, al termine dell’esposizione, servirà a sua volta a rendere conto dell’evento che caratterizza il presente del picaro. Una struttura perfettamente chiusa, tipica del romanzo moderno, che rompe con la struttura seriale di certa narrativa dell’epoca (per es., il romanzo cavalleresco). A seconda, poi, dell’evento da cui prende avvio la narrazione, l’autobiografia assume diverse forme: quella dell’epistola nel Lazarillo o della confessione nel Guzmán, e, pertanto, il racconto autobiografico risulta sempre dotato della presenza di un destinatario interno. Essendo il picaro un reietto della società, il racconto autobiografico si presenta inevitabilmente come ‘la rappresentazione di una realtà bassa e quotidiana’. In questo senso si può affermare che il romanzo picaresco è ‘realista’, ossia costituisce «una alternativa concreta al romanzo idealista dell’epoca» (Th. Pavel). Nei primi due romanzi fondativi del genere, il ‘realismo’ o l’«illusione realista» (Rico), di cui si fa portatore il romanzo picaresco, può configurarsi come narrazione comica, dove però la comicità assume una funzione che va ben al di là della derisione (Lazarillo), o seria, dove la serietà attinge al realismo creaturale cristiano (Guzmán).

«Il romanzo picaresco […] conteneva il Lazarillo e il Guzmán, ma non si esauriva in nessuno dei due» (Rico). Difatti, la formula picaresca, elaborata secondo le due modalità assai diverse dell’anonimo autore del Lazarillo e del suo geniale continuatore, Mateo Alemán, ebbe una fortuna enorme nella narrativa spagnola della prima metà del Seicento, a partire dalla Pícara Justina 1605), che inaugurò la picaresca al femminile, o dal Buscón di Quevedo, sino all’Estebanillo González (1646), con cui la formula esaurì la sua vitalità; ma conobbe anche un solido successo nelle letterature europee, nelle quali svolse una funzione di stimolo per la sperimentazione di nuove forme romanzesche che si protrassero sino al Settecento, in contesti vari, letterari e storico-sociali.

Naturalmente, nella ventina di romanzi spagnoli che si suole ascrivere al genere, dalla Pícara Justina (1605) all’Estebanillo González (1646), il ricorso al modello del genere picaresco avvenne spesso privandolo delle componenti che lo avevano reso efficace, per cui, in alcuni di tali romanzi, il personaggio del picaro compare senza essere associato allo schema narrativo che aveva dato origine al genere. Il caso più problematico e discusso è, senza alcun dubbio, costituito dal Buscón di Quevedo. Che la formula originaria sia stata tradita dai numerosi continuatori spagnoli seicenteschi, e che tale tradimento ne abbia debilitato l’efficacia, si può facilmente comprendere, salvo analizzare le diverse soluzioni messe in campo dai singoli autori. Resta, però, il fatto che, nei loro racconti, gli antieroi picareschi - come ha scritto Pavel - «vivono in una società dalle posizioni sociali ben definite […] e nella loro lotta contro la povertà osservano la società dal basso, ci indicano i costumi dei diversi gruppi e ne imparano regole e convenzioni al fine di trasgredirle a loro vantaggio».

Il romanzo picaresco spagnolo godette di un’enorme fortuna nella letteratura europea, sia attraverso la circolazione dei testi originali, sia per tramite delle loro traduzioni o rifacimenti: traduzioni e rifacimenti che, a loro volta, funsero da «modelli» per la composizioni di opere originali, nelle quali alcuni scrittori francesi, tedeschi e inglesi sottoposero il modello del genere picaresco a radicali trasformazioni, con cui i vari tratti o elementi che definivano il genere subirono un processo di assimilazione o di rifiuto. Grazie a tale processo, il modello andava adattandosi ai differenti contesti storico-letterari dei vari paesi, nei quali, quel modello fu ripreso e trasformato in epoche distinte, sino al Settecento.

Fu così che la tradizione picaresca spagnola fu ripresa, nel Seicento francese, da autori come Ch. Sorel e P. Scarron, i quali adattarono alcuni elementi macrostrutturali del genere, come il cosiddetto ‘realismo’ e il tono satirico, alla denuncia di una società corrotta; o, ancora, nel Seicento tedesco da Grimmelkausen che nel Simplicissimus fece propria la struttura del Guzmán, attraverso la traduzione di Albertinus; o, infine, nel Settecento inglese, da autori come Defoe e Smollet, soprattutto, le cui opere rappresentano già per alcuni aspetti un esempio della disintegrazione del romanzo picaresco, sebbene conservino ancora un numero considerevoli di caratteristiche picaresche, come, del resto, faceva il Gil Blasde Santillana (1747) del francese Lesage.

Dopo il XVIII secolo, difatti, non è più possibile parlare di ‘romanzo picaresco’, anche se, nell’Ottocento, alcuni romanzi di Charles Dickens (per es., Oliver Twist) sono stati definiti picareschi principalmente per la rappresentazione cosiddetta ‘realistica’ di una società ostile, attraverso la quale un individuo compie il proprio camino.

È però, per il Novecento, che si è parlato di ripresa, se non del genere, almeno del ‘mito’ picaresco, a proposito di romanzi come, per esempio, La familia de Pascual Duarte (1942) e Nuevas andanzas y desventuras de Lazarillo de Tormes (1946) di C. J. Cela, Industrias y andanzas de Alfanhuí (1951) di R. SánchezFerlosio, The Invisible Man (1952) di R. Ellison, The Adventures of Augie March. A Novel (1953) diS. Bellow, Bekenntnissedes Hochstaplers Felix Krull. DerMemoirenerster Teil (1954) di Th. Mann, Die Blechtrommel (1959) di G. Grass.


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