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L’arte del monologo e l’azione sospesa

L’arte del monologo e l’azione sospesa

Il 20 e 21 novembre si terrà il Colloquio di Teatro dell’Associazione Sigismondo Malatesta nel Castello di Torre in Pietra (Roma).

L’argomento delle due giornate, curate da Silvia Carandini e Claudio Vicentini, sarà L’arte del monologo e l’azione sospesa (scarica qui programma e informazioni per raggiungere la sede del Colloquio).

Interverranno: Elena Cervellati, Francesco Cotticelli, Santiago Fernandez Mosquera, Delia Gambelli, Giuseppe Grilli, Loretta Innocenti, Lorenzo Mango, Maria Grazia Porcelli, John Roe, Emanuele Senici, Clotilde Thouret, Alessandro Tinterri, Claudio Vicentini.

Scheda di presentazione

Nel gioco teatrale il monologo concentra il fuoco della scena su un singolo attore affidandogli un intervento di qualche consistenza, dotato di contorni precisi, che si staglia nella dinamica generale dell’azione.

Il monologo può svolgere diverse funzioni: di genere narrativo (come il racconto della battaglia nel quarto atto del Cid o il viaggio del diacono Martino nell’Adelchi); esplicativo (chiarisce la situazione, le vicende che condizionano il dramma, i rapporti che sussistono tra i personaggi, e sovente viene usato in questa forma come prologo); espressivo (quando il personaggio manifesta sentimenti, considerazioni, pensieri, spesso nella forma del soliloquio, come diverse volte Fedra nella tragedia di Racine, o vari personaggi a più riprese nella Mandragola); recitativo (un pezzo di bravura non direttamente legato al dramma, destinato a far valere le doti dell’interprete (come il pezzo di Mercuzio sulla Regina Mab in Giulietta e Romeo).

In tutte queste forme il monologo, sottraendosi alla pressione dello scambio diretto e immediato tra due o più interlocutori, produce una sospensione dell’azione drammatica, di varia consistenza: relativamente debole quando l’interprete si rivolge a uno o più personaggi del dramma; più pronunciata quando nella forma del soliloquio rivela i propri moti interiori in apparente assenza di qualsiasi interlocutore; ancora più consistente nella forma del recitativo, e poi in quella del discorso direttamente rivolto al pubblico.

Nei confronti della recitazione il monologo apre diversi problemi, come la giustificazione del soliloquio (più volte nella trattatistica considerato «innaturale» e ammissibile solo in personaggi in preda alla pazzia o all’ira) e quindi del modo in cui porgerlo al pubblico, oppure il possibile mantenimento di un rapporto di interlocuzione diretta con gli altri personaggi durante l’esposizione di un brano che può assumere anche una considerevole lunghezza.

Infine il monologo, nella varietà dei generi drammatici, assume forme diverse (prestazione mimica, danza, canto) e, configurandosi secondo le esigenze e le caratteristiche del genere di appartenenza, riveste funzioni analoghe o divergenti da quelle dell’intervento verbale presentando particolari problemi di composizione ed esecuzione. L’aria nell’opera lirica, l’assolo in danza e in musica, il soliloquio mimato, possono costituire anch’essi una sospensione nell’azione, la concentrazione su un performer solista e le sue “variazioni” vocali, melodiche, gestuali volte ad aprire una pausa riflessiva nella composizione drammatica, un varco all’espressione lirica ed affettiva.

Attraverso l’analisi di alcuni casi campione dall’antichità classica a oggi saranno discussi, in chiave comparatistica, le funzioni che il monologo può svolgere all’interno dell’azione drammatica e i problemi che presenta la sua composizione e la sua esecuzione di fronte al pubblico.


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