(prosegue dalla homepage)
Merita una speciale riflessione il metodo – o meglio il “principio di composizione” – che si è adottato per conseguire un tale esito. Si tratta di uno di quei casi in cui la comparatistica è costretta a enucleare delle costanti morfologiche (che naturalmente non possono limitarsi al criterio estrinseco della ‘metratura’ dei testi), facendo un passo fuori dalla storia e ricercando patterns lì dove a occhio nudo si vedono soltanto discontinuità e divisione. Come ha notato in altro contesto Koselleck, le «categorie formali» non sono che «condizioni di storie possibili», che attendono pertanto di essere scritte. Se insomma la nebulosa della narrazione breve soffre di evanescenza e perfino di instabilità nomenclatoria (quante volte, come nota qui la Fonyi, ci è capitato di non saper rispondere in modo preciso alla domanda sulla differenza fra racconto e novella? e quante volte ci siamo resi conto che il tasso di coesione interna delle raccolte di racconti varia da testo a testo, o che la cornice risulta così debole da costituire al limite un ulteriore racconto?), e se lo statuto della narrazione breve è per definizione cangiante a seconda dei contesti storici, come si può addivenire a una sorta di quadro unico, se non unitario? Una strategia efficace consisterà allora nel non schiacciarsi mimeticamente su quella fenomenologia frammentaria, bensì di valersi – sulla scorta appunto di Koselleck – delle risorse della «semantologia storica», abbracciando la «nozione di struttura» e fissando, su di un piano euristico, una sorta di volano macro-categoriale che dia modo di mettere in serie dei testi, così da costituirne una «classe». Soltanto così potrà scorgersi in controluce una sagoma, un’entità sia pure molteplice e complessa. Scrivere, cioè, una story, piuttosto che una history; una «storia possibile» (non «vera»), che poi altro non è che una «critica falsificabile», tradotta dal livello dell’elemento a quello del sistema.
D’altro canto, se il romanzo tende, lungo il secolo del suo apogeo, a rifarsi, pur con molte variazioni, a una matrice condivisa, per poi riaprirsi nella modernità anche a una serie di soluzioni altre e sperimentali, la narrazione breve sembra comportarsi in modo sempre più erratico ed entropico, e a rendere di fatto impossibile una canonizzazione. Basti richiamare, un po’ alla rinfusa, alcune prove di Kafka e di Cortázar, di Borges e di Musil perché ci renda conto intuitivamente delle risorse della di quella forma nella sua maturità espressiva: e di come essa abbia sfidato le convenzioni della mimesis, inarcandosi verso una poetica dell’assurdo (uomini che si svegliano mutati in scarafaggi: La metamorfosi), dimidiando il soggetto (voci narranti che passano dalla prima alla terza persona, e dal presente al passato, nello stesso giro di frase: Le bave del diavolo), dando vesti inusitate al soprannaturale (libri che si moltiplicano all’infinito e producono nell’individuo ossessioni e abissi epistemologici: La biblioteca di Babele), torcendo i clichés del romanzo realista (personaggi che scoprono, grazie al rito di passaggio dell’adulterio, il «piacere dell’onestà« e dell’istituzione familiare: Il compimento dell’amore). O basti pensare, stavolta dentro quel crogiuolo degli stili e dell’oltranza della forma che sono gli Stati Uniti, a Raymond Carver e David Foster Wallace: entrambi americani, entrambi di culto, entrambi morti prematuramente (il secondo suicida), entrambi espressioni di tendenze estetiche operanti sia ai livelli del canone alto, sia entro il mainstream della letteratura di consumo. Al «minimalismo», certo non dichiarato, del primo – i cui tratti salienti sono enigmaticità, scarnificazione dei dialoghi, lavoro di sottrazione, finale sospeso, centralità delle cose e della loro “vita” – si è spesso contrapposto il «massimalismo» dell’altro: la struttura frattalico-frammentaria, l’iper-realismo dei dettagli («realismo isterico», lo si è detto), la compresenza di codici e linguaggi, che fa della sua opera un autentico giacimento stilistico. È forse questo il doppio lascito più suggestivo, e per certi versi più struggente, con cui dobbiamo fare i conti: per potere finalmente riservare anche alla narrativa breve, pur così labile e costitutivamente «minore», un canone per il terzo millennio.
Francesco de Cristofaro